Non è possibile prendersi cura delle città, rigenerandole, se prima non costruiamo delle comunità coese che abitano le città e se ne prendono cura. Far nascere una comunità coesa che abita la città significa infrastrutturare un sistema di rapporti tra i cittadini-abitanti e tra questi e gli spazi ed i servizi urbani e di prossimità, integrativi delle dimensioni urbane dell’abitare, del welfare e della cultura, tra i quali il primo e più essenziale è senz’altro quello alloggiativo. Con una precisazione, però: pur preservandone l’inalienabile ruolo di residenzialità stabile, la casa può (e deve) assumere funzioni abitative distinte, elaborate in rapporto all’evoluzione delle stesse istanze sociali: dall’housing temporaneo per lavoratori e studenti fuori sede, a programmi abitativi destinati a specifici target sociali (anziani, disabili) corredati da altrettanto puntuali set di servizi, sino a progetti di accoglienza, sempre temporanea, per soggetti con fragilità multiple. In sintesi, una polifunzionalità residenziale che possa risultare tanto più efficace quanto più viene esercitata e sperimentata con forme di gestione integrata all’interno di medesimi contesti abitativi, così da poter riaffermare, pur con intensità e caratteristiche diverse, la centralità della casa quale cellula minima di un habitat urbano accogliente e sano proprio perché composito ed eterogeneo.
Non è possibile rigenerare le città se non gemmando partenariati pubblico privati plurali e socialmente orientati alla governance ed alla gestione dell’intera catena del valore. Affiancando all’investimento materiale l’investimento sul processo gestionale è possibile convertire l’housing sociale in asset territoriale e relazionale, ovvero strutturare una policy sull’abitare duratura, all’interno della quale l’intervento pubblico e quello privato trovino un equilibrio stabile dentro una pianificazione di ampio respiro, realizzando quello che la letteratura internazionale definisce allineamento di interessi.
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